giovedì 26 aprile 2007

Belcantolandia




Siamo ancora il paese del Belcanto? Forse molti italiani non sanno neppure più cosa significhi questa parola. Eppure in numerosi paesi europei ed extra-europei molti ragazzi ancora sognano di venire in Italia a studiare l'opera pensando che tutto qui da noi canti, pure i sassi!

Mi è capitato durante le mie tournées all'estero che molti giovani colleghi mi chiedessero informazioni su quale scuola o accademia frequentare, come su quali maestri consigliassi loro per perfezionarsi in Italia. Feci del mio meglio e cercai di indirizzarli nella miglior maniera possibile.

Sapevo bene delle torme di coreani che negli ultimi dieci-quindici anni avevano invaso l'Italia per studiare canto e che erano diventati i polli da spennare per decine centinaia di maestri, molti dei quali poco più che ciarlatani, che non sentivano minimamente il peso della responsabilità di insegnare un'arte tanto meavigliosa e difficile. Anzi per coreani e giapponesi praticavano tariffe maggiorate, un po' come fanno i tassisti a Roma da Fiumicino al centro: 35 euro se hai l'accento romano, 45-50 se sei del Nord, da 100 euro in su se sei giapponese.

Cosa è rimasto ora di tutte queste migliaia di studenti munti per anni?
Alcuni di loro hanno trovato posto nei teatri tedeschi ed austriaci, pochissimi cantano in Italia e molti stanno tornando in patria. Alcuni anni fa partecipai ad un concorso a Piacenza, il 90% degli iscritti era di nazionalità coreana. Arrivai in finale con 11 coreani ed una ucraina!

Mi colpirono le parole di un collega ed amico coreano. Un ragazzo molto carino con una meravigliosa voce di baritono che frequentò l'Accademia del Maggio Musicale Fiorentino (un giorno parlerò di questa truffa delle accademie di alto perfezionamento in Italia): "Voi state facendo morire il vostro teatro lirico!".
Mi fido sempre molto di chi vede le cose dall'esterno. Il dramma è che la penso così pure io che le vedo dall'interno!!!

Lo stesso stupore da parte di altri cantanti nel notare l'ostracismo assoluto della televisione pubblica (e ancor più delle private, salvo qualche lodevole eccezione) nei confronti dell'Opera Lirica. Pensare che leggi non troppo vecchie prevedevano un coordinamento fra le attività liriche e musicali e quelle televisive.
Già le leggi!Di questi tempi si è parlato moltissimo di tagli al FUS (il Fondo Unico per lo Spettacolo, per chi non lo sapesse) di (molti) meno soldi per le fondazioni liriche quasi che la crisi dipenda esclusivamente dalla mancanza di soldi.

Certo i finanziamenti rappresentano un aspetto importantissimo ma nessuno ha mai pensato di dare un'occhiata al corpus legislativo che regola la vita dei teatri lirici di Belcantolandia? Beh, io l'ho fatto e ho scoperto molte cose e molto interessanti. Inizieremo a parlarne nel prossimo post. Arrivederci alla prossima puntata dunque!

sabato 21 aprile 2007

A me non me la ficca!



L'arte serve a qualcosa?

Io ho sempre pensato di sì. Ma confesso che il dubbio, l'altra sera, quando sono andato ad assistere ad alcuni spettacoli di una rassegna di teatro contemporaneo tenutasi a Bologna in questi giorni (Iceberg di Teatri di Vita, tanto per fare i nomi, anzi faccio pure il link: http://www.teatridivita.it/italiano/iceberg2007.html) mi è venuto. Tutto è nato da un invito casuale dell'amico Daniele che era curioso, e giustamente, devo dire, di vedere questi spettacoli.

L'accesso agli spettacoli era grautito, il mio amico prenota i posti e ci mettiamo in fila per il primo dei tre in programma. Entriamo. Una bella sala che mi sembra dotata di buona acustica (scusate la deformazione professionale!). Nel palco in basso si intravedono, data l'oscurità, da destra a sinistra delle campane tubolari, un violoncello appoggiato su una sedia, una batteria ed un vibrafono. Quache minuto d'attesa ed entrano i tre artisti. Uno si dispone al vibrafono ed altre percussioni, un altro alle campane ed un terzo si sdraia in terra. Si abbassano le luci e lo spettacolo inizia. L'attore/ballerino dimostra di possedere buona tecnica vocale e motoria. Pronuncia frasi disarticolate, spesso senza un senso apparentemente connesso ma sa quello che fa. Così i due musicisti che accompagnano i suoi movimenti convulsi. Meno brillante una parte centrale da mimo ed il meglio musicale l'ho trovato in un duetto vibrafono-violoncello. Spettacolo non sgradevole. Certo non mi aspettavo che dopo lo spettacolo ce ne fosse uno addirittura migliore. Ricevuti alcuni timidi applausi l'attore Matteo Garattoni chiede il silenzio per un annuncio. Nonostante una, forse reale timidezza, fa presente, con modi comunque garbati di aver chiesto di non tagliare troppo ll suo spettacolo. Alla sua richiesta però pare sia stato risposto negativamente ed in maniera molto sgarbata da parte della direzione di Teatri di Vita. Afferma di fare questa dichiarazione per evitare, a chi verrà dopo di lui di ricevere lo stesso trattamento. Nessuna replica immediata della direzione.

Appoggio il coraggio dell'attore e so cosa vuol dire. Mi è sembrato un atteggiamento condivisibile. Non credo purtroppo che la discrezione e l'educazione paghino più. Stanno diventando sempre più remissione e sottomissione. In generale nel nostro paese, e nel campo culturale in particolare, prende sempre più spazio chi, pur non avendo niente da dire, alza la voce. Forse è arrivato il momento di alzare ancor più la voce e reclamare la dignità di chi ha qualcosa da dire e vuole dirlo in maniera garbata e con gusto.

Tempo addietro i teatri INVITAVANO gli artisti e per la loro permanenza nel teatro erano trattati da OSPITI, con il senso vero e proprio che l'ospitalità dovrebbe avere. Ora sembra che a farti esibire ti facciano un favore e per il tempo che sei lì, a meno che tu non faccia parte di una certa conventicola e debba essere trattato in un certo modo, devi cercare di non sporcare e rompere i coglioni meno possibile. E' grave, molto grave, che un'artista, addirittura dopo uno spettacolo, senta di fare una dichiarazione del genere. Forse bisognerebbe rivedere le modalità d'instaurazione delle persone a capo delle istituzioni culturali. Certo a molti va bene così, ma i frutti del brillante lavoro svolto in questi anni si stanno vedendo, eccome. Perché chi crea deficit paurosi e stende programmi pietosi non paga mai? Rimane sempre lì, oppure se è proprio costretto ad andarsene, trova subito un altro posto? Siamo molto molto vicini al fondo!

Le cose si sono definitivamente chiarite guardando gli altri due spettacoli. Protagoniste tre ragazze. Innanzitutto ho notato come il fulcro degli spettacoli ruotasse intorno a qualcosa che si gonfiava!!! Fosse un lenzuolo illuminato (con gradevoli effetti luce) come nel primo caso o un piumone gonfiabile nel secondo. Nel primo spettacolo del gruppo Cosmesi (vincitore premio Iceberg 2005) la protagonista, ben attenta a mettere in risalto due seni dalle rotondità perfette, ha giocato a fare la gallina con conseguente lancio finale dell'uovo per simboleggiare una prima donna: profondo ed originale! Ha avuto il pregio di essere molto breve. Nel secondo caso, sfortunatamente molto più lungo, due ragazzotte in carne, che non hanno disdegnato di mostrare le mutande da sotto la gonna faccia al pubblico, di scambiarsi qualche apparentemente gradito bacio saffico, e di lanciarsi a vicenda sul puffone gonfiabile, si sono esibite in uno show di ginnastica dolce per anziani di 30 minuti circa dimostrando di saper contare da 1 a 8 e da 100 a 900 accompagnate da musiche intestinali ed effetti luci da discoteca. IRRITANTE! Qui non c'era nemmeno tecnica. Non movimento, non voce. Salvo solo qualche posizionamento luce carino.

Ma questo è il teatro? Alla fine applausi convinti, molti più che per il "dissidente" del primo spettacolo. "Uno spettacolo di una sensualità a tratti sconvolgente" - ho dovuto ascoltare! Non conta più quello che sai conta come lo sai vendere. Questi non sono artisti sono stereotipi d'artista imbottiti di fumo! A me non me la ficcano!

Con questi presupposti il teatro non andrà lontano. La crisi di pubblico è dovuta a chi decide gli spettacoli da rappresentare e porta avanti determinati artisti. Una grossa responsabilità spesso affidata a cervelli leggerissimi ma con agganci pesantissimi. Credo che il teatro debba dire qualcosa e servire a qualcosa. Questo teatro non dice niente e non serve a niente, se non a chi lo fa e lo fa rappresentare a suo proprio uso e consumo.
Una cosa sola mi dispiace; non aver buuato rumorosamente.
La prossima volta alzerò la voce!